Tutta l’Italia fa il tifo per Martino Ruggieri, o meglio tutti dovrebbero fare il tifo per Martino Ruggieri. A partire dai suoi stessi colleghi. Perché sarà lui, il giovane chef di Martina Franca di 29 anni, braccio destro di Yannick Alleno nella cucina del tre stelle Pavillon Ledoyen di Parigi, a rappresentare il nostro paese alla finale mondiale del Bocuse d’Or, le Olimpiadi degli chef, che si disputeranno a Lione dal 29 al 30 gennaio. Parliamo di un premio tecnico e di un concorso sicuramente non in linea con l’idea che tutti abbiamo della cucina italiana, ben consci però che il futuro della gastronomia non può certo fermarsi alle osterie e alle trattorie.
E nessuno più di Martino Ruggieri ha legato all’essenza della cucina italiana quel voler fare tendenza che ha trovato il migliore dei terreni fertili, proprio a Parigi, alla corte di uno dei più grandi chef, Yannick Alleno. Con Yannick e Martino, siamo davanti alla dimostrazione di come tecnica ed emozione possano convivere e di come la creatività non debba essere vista come un dono fine a sé stessa ma come un talento da allenare.
Quella di quest’anno, a Lione, sarà la 17a edizione di un concorso che ha visto la sua prima alba nel 1987, la prima dalla scomparsa del suo creatore, Paul Bocuse. Non cambia il numero dei concorrenti e quindi dei paesi coinvolti: 24. Fissato il tempo a disposizione: 5 ore e 35 minuti. In palio tutto o forse nulla, perché l’Italia parte con lo sfavore della critica, parte con un gap decisamente significativo rispetto a quasi tutti gli altri paesi in finale. E non solo per il budget messo a disposizione del team Italia (pari a 1.5 milioni di euro – a sentire l’Assessore Antonella Parigi – molti dei quali però utilizzati per organizzare la selezione europea del Bocuse d’Or, lo scorso 11 e 12 giugno all’Oval Lingotto Fiere, nell’ambito del Gourmet Expoforum).
Solo un processo di lungo corso permetterà ad un italiano di salire sul podio e alzare al cielo la statuetta. I tempi non sono maturi ma scendere in campo sfidando lo sfavore dei pronostici per un popolo creativo come il nostro non può che essere un bellissimo incentivo. Ma su cosa però gli chef saranno chiamati a cimentarsi a Lione? Su due tipologie di portata, una al piatto e una al vassoio: la chartreuse di verdure e il carré de veau (carne di vitello cotto intero con le ossa, arrosto).
“Una competizione densa di segreti e di cose che non si possono svelare”, a voler parafrasare il giornalista Luca Iaccarino che martedì ha moderato la conferenza stampa di presentazione della finale mondiale del Bocuse d’Or che si è tenuta a Milano, nel nuovo hub della gastronomia italiana, presso Identità Milano.
“Spero che questo movimento continui e vada avanti nel tempo – dichiara Martino Ruggieri – è un anno di cambiamento e ci siamo finiti dentro. Hanno deciso di vietare il sottovuoto ad esempio, basta poi con tutti quei piccoli escamotage che permettevano ai cuochi di fare cose sensazionali e forse un po’ finte, spazio alla cucina vera e spazio soprattutto ai tre maestri della cucina mondiale che ci hanno lasciato lo scorso anno, Paul Bocuse, Gualtiero Marchesi e Joël Robuchon. Quest’anno per assecondare le tecniche richieste devi dimostrate veramente quanto vali come cuoco e come paese. Noi ci siamo attaccati a queste preparazioni cercando di essere il più italiani possibili, non dimenticando nulla dalla Sicilia fino alla Valle d’Aosta. Siamo contenti di essere qui ma siamo coscienti di essere non in un anno di prova, ma in un anno che servirà a tutti per fare esperienza, per conoscere veramente questo concorso appieno e per andare avanti in futuro”.
Si cucina con il cronometro a vista. Con i cronometri a vista, uno per ogni cottura, uno per ogni parte di quei singoli piatti che saranno poi chiamati ad essere giudicati.
“In questi due anni di avvicinamento alla finale mondiale del Bocuse d’Or è cambiata la mia vita, oggi in completa funzione della manifestazione – ci spiega Martino Ruggieri – Gli altri paesi, i grandi team hanno un ricettario, un libro di quello che è stato fatto negli anni al Bocuse d’Or, pensate alla Norvegia che sono 30 anni che partecipa. Loro hanno un archivio completo di guarnizioni, di lavorazioni, noi questo non ce l’abbiamo. Tona (Direttore dell’Accademia Bocuse Italia, ndr) ha fatto, in estate, un programma di lavoro che prevedeva di creare guarnizioni e accompagnamenti, poi a novembre sono arrivati i temi e abbiamo provato ad accompagnare quel lavoro fatto prima ai temi, in alcuni casi è stato possibile, in altri casi no, lavori pur sempre alla cieca. Adesso stiamo lavorando per fare il tutto nel tempo concesso, perché in fase creativa non ti poni il problema delle 5 ore e 35 minuti, pensi solo a creare le cose più buone possibili che rappresentino l’Italia. I giudici arrivano da tutto il mondo e non serve che i piatti siano visceralmente italiani, è stato questo l’errore commesso a Torino”.
È italiano ma lavora da sempre in Francia. Il grosso è fatto, si potrebbe pensare.
“Più o meno – ci tiene a precisare lo chef – perché io non lavoro in un posto classico in linea con il Bocuse d’Or ma moderno. La gara, prima che decidessi di concorrere, non la conoscevo, è richiesta grandissima tecnica applicata alla classicità, quindi non serve essere creativi fino allo stremo e noi a Torino lo siamo stati troppo”.
I paesi più in forma… “Sono tanti, purtroppo, sono i più ricchi – prosegue lo chef – pensate che l’America ha un budget di tre milioni di euro, con 20 persone che creano tutti i giorni, tutto l’anno. Noi siamo in 4 e lo abbiamo fatto per sei mesi. Il dislivello è altissimo e lo stesso vale per il Giappone, la Danimarca, la Norvegia, l’Islanda, l’Ungheria, l’Inghilterra, il Belgio, La Francia. Ci sono dieci paesi almeno che sono intoccabili ma non per questo il team Italia deve demordere. Spero un giorno di vedere una passerella di chef italiani che vanno a vedere cosa succede al loro connazionale, che si mettano il grembiule e inizino a lavorare con il candidato, perché è quello che fanno gli altri. Durante gli allenamenti dei francesi, intorno i ragazzi hanno i migliori due e tre stelle di tutta Francia e quando ne hai dieci intorno a te, qualcosa di positivo viene fuori per forza. Noi in Italia purtroppo questo non ce lo abbiamo, i motivi saranno diversi, forse non siamo stati in grado di attirarli noi ma è una cosa che deve succedere se si vogliono scalare posizioni in classifica. Sogno di vedere i tre stelle italiani che vanno ad aiutare il candidato, chi verrà dopo di me e che quest’ultimo non si senta solo, buttato lì, in una piccola città come Alba che per noi ha comunque fatto tantissimo. Ci vuole il coinvolgimento di tutta l’Italia”.
La cifra distintiva che rende speciale questo ragazzo, Martino Ruggieri, è la sua voglia e il suo tentativo di fare cultura intono al cibo, intorno alla tecnica in cucina, andando ben oltre la semplice partecipazione a quello che in fondo è solo un concorso di cucina. Pardon, è il concorso di cucina!
Nadia Afragola