di Alberto P. Schieppati
Si avvicina l’appuntamento milanese dedicato alla PASSIONE, che vedrà riunti professionisti del B.A.R. (chef, bartender, uomini e donne di sala, formatori, direttori di albergo ecc.) impegnati nell’affermazione di questo valore fondamentale. In tanti hanno già aderito alla nostra proposta, che ha innanzitutto l’obiettivo di contribuire alla crescita e all’innalzamento qualitativo del comparto della ristorazione, dei bar e degli hotel, in tutte le loro espressioni. Impresa ardua, dirà qualcuno… La passione, come spesso ci fanno notare, è figlia della motivazione e, quando questa manca, è difficile che possano esistere coinvolgimento, audacia, senso di appartenenza, desiderio, insomma, in una parola passione. Questa osservazione, però, è vera soltanto in parte. E cerco di spiegarvi il perché: anni di giustificazionismo e di appiattimento ci hanno allontanato progressivamente dal concetto di meritocrazia, dalla possibilità di esprimere il proprio talento e di vederne apprezzato e valutato il valore, l’unicità e l’importanza, nella vita e nella professione. Egualitarismo astratto e inconcludente hanno spesso nascosto i meriti di alcuni in nome dei limiti di tanti: un adagio consolatorio, fatalistico, del tipo: “siamo tutti nella stessa barca”, “tanto non cambia nulla” e via dicendo. Fatalismo e spirito di resa, insomma. Ma non è così, non deve essere così. Se così fosse, il mondo si fermerebbe e, al massimo, esprimerebbe un grande lamento collettivo, un boato triste, dannatamente sterile. Noi, lo abbiamo sempre detto, siamo dalla parte di chi lavora bene. Non di chi lavora così così. Il mio amico Gualtiero Marchesi diceva che “non è buono ciò che non è cattivo, è buono ciò che è buono”. Lo stesso vale per le persone. Sappiamo che dalla qualità dell’impegno individuale e dalla sommatoria dei singoli slanci, sforzi, impegni può nascere quel sistema, tanto agognato, di cui l’Italia ha molto bisogno. Ma attenzione, fare sistema non significa appiattirsi sulla mediocrità generale, bensì esaltare al massimo le proprie capacità e, soprattutto, vederle riconosciute. Qui subentra la motivazione, che è la capacità di riconoscere il talento altrui. Certo, cultura, impegno, esperienza, educazione contano parecchio. Ma senza la molla della passione, sarebbero doti ovviamente positive ma, allo stesso tempo, immobili e passive, esentate dalla possibilità di concorrere a un effettivo miglioramento. E’, questa, la differenza che c’è fra i “bravini” e gli “eccellenti”. Ecco il motivo per cui il tema del convegno di novembre è la Passione: valorizzare questo aspetto, questa caratteristica dell’animo umano (certo bisognosa di allenamento, esercizio, fiducia in se stessi e, ovviamente, della accettazione motivante da parte di chi ha in mano le redini delle imprese e la gestione delle risorse umane, qualora non siano nelle salde mani degli “appassionati”) è fondamentale per l’evoluzione qualitativa del settore, nonché per le proprie gratificazioni, oltre che per la soddisfazione finale del cliente. Che, fino a prova contraria, è il vero focus sul quale concentrarsi. Domandina: e se chi “comanda” non ha passione? Come fa a riconoscere la passione nei suoi collaboratori, supposto che gli interessi? Come può farlo diventare un vero plus? Non so dare una risposta valida per ogni situazione. Ma un suggerimento sì, mi sento di darlo. Non perdete tempo per dimostrare il vostro valore a chi non lo sa comprendere, ma utilizzate la vostra passione (e il vostro tempo) nella vita di ogni giorno, nella attività professionale, interagite con i vostri clienti, rendeteli felici. Senza preoccuparvi troppo di chi, anche se ha il potere, sarà solo un ostacolo alla vostra passione.